Titolo: In tasca la paura di volare
Autore: Lorenzo Foltran
Editore: Oèdipus Edizioni
Genere: Poesia
Formato: cartaceo
Prezzo: 12€
Data pubblicazione: Maggio 2018
Pagine: 96
Per l’acquisto: https://www.ibs.it/in-tasca-paura-di-volare-libro-lorenzo-foltran/e/9788873413387?inventoryId=112293826
Qualcosa sull’autore:
Nel novembre del 2011 ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica all’Università Roma Tre con la tesi La Musa e il Poeta: la relazione io-tu nella lirica amorosa tra origini e contemporaneità. Successivamente, si è diplomato in Management dei beni e delle attività culturali dopo aver seguito un master di secondo livello tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’École Supérieure de Commerce de Paris. Ha lavorato per importanti istituzioni culturali come la Casa delle Letterature (Festival delle Letterature) e l’Institut français (Festival della narrativa francese) a Roma e la Fête de la Gastronomie e il Pavillon de l’Eau a Parigi, dove attualmente risiede. In tasca la paura di volare è la sua prima raccolta.
Lo trovate su facebook, twitter e instagram.
In tasca la paura di volare è una raccolta di 67 poesie divise in tre sezioni: Donne sparse, I lampioni e nessun altro e In tasca la paura di volare. Nella prima sezione, composta essenzialmente da liriche amorose, il senhal, elemento classico della poesia d’amore fin dai provenzali, perde il suo ruolo di richiamo all’unicità della donna e cambia, si maschera sotto altre forme. Ne derivano le immagini del teatro e dell’affabulazione (le prime poesie, Margherita e “Filo d’erba” rimandano al prato del Decameron dove i giovani fiorentini scampati alla malattia “cominciarono di novellare sopra la materia”). La figura della donna è quella dell’attrice (Dietro le quinte) che assume ruoli e caratteristiche diversi in base al personaggio da interpretare (si veda l’ammiccante ambiguità dell’indeterminato nel titolo You and me). La prima sezione è, quindi, finzione, manierismo e per tale motivo propone testi anche banali come “Quando la guardo, tutto” che utilizzano le forme più stereotipate del linguaggio della lirica d’amore. La sezione si conclude con la presa di coscienza della distanza incolmabile tra l’io lirico e tu, tra chi guarda e chi è guardato. I testi poetici diventano reperti consacrati a un’istanza museale. La lirica d’amore, intesa come dialogo io-tu, binomio poeta-musa, è considerata come Storia che deve essere musealizzata.
La prefazione di Dario Pisano alla raccolta ci offre un quadro generale dettagliato e preciso; quando un poeta contemporaneo, esordiente, si espone ai miei occhi con i suoi scritti così impregnati di tradizione, legati saldamente alle radici della nostra letteratura, di solito distorco il naso in quanto appassionata di poesia e studentessa di lettere moderne, temendo gli esiti di una spinta in questa direzione.
La sua musa abita le rive dell’antica tradizione poetica italiana, e riscrive, con una dose di umorismo e ironia, celebri pagine della tradizione stilnovistica e petrarchesca.
Penso però che il dialogo con la tradizione alla ricerca di ispirazione e di sostegno, soprattutto per un poeta agli inizi, sia inevitabile; è anche un grande atto di coraggio quello di riproporre tematiche legate all’amor cortese, al petrarchismo o al crepuscolarismo.
Uno dei motori della poesia di Foltran è l’intertestualità, che continuamente sollecita il lettore a riconoscere il deposito ingente di memoria verbale che l’autore amministra con sagacia.
I rischi di “spingersi oltre” sono molti e bisogna essere in grado di trovare un equilibrio: ed io sono rimasta complessivamente contenta della silloge che l’autore, Lorenzo Foltran, mi ha gentilmente fatto avere e che ringrazio. La sinossi genera delle aspettative che vengono effettivamente soddisfatte, e ho scovato dei componimenti brillanti e ben curati nella forma – cosa per me importantissima. La raccolta, nel suo insieme, è un’ottima prova d’esordio, dal linguaggio semplice ma efficace, accessibile a tutti, che riesce a riutilizzare stralci di patrimonio senza per questo conferire ai suoi scritti un piglio elitario: Foltran ha buone capacità comunicative. La voglia di sperimentare metri diversi e anche complessi si sposa con una schiettezza che rende la lettura piacevole e dolce, evocativa com’è giusto che sia.
La prima parte è quella decisamente più “sopraffatta” dalla tradizione: le poesie sono molto simili fra loro e non riescono, a mio parere, a fare del tutto proprio un repertorio di immagini così lontano nel tempo, per quanto contestualizzato nel presente. Donne sparse apre la raccolta nel tentativo di richiamare ricordi di natura amorosa, con le peculiarità dell’amore stilnovistico e delle donne-angelo; ma sarà dalla seconda sezione, I lampioni e nessun’altro, che secondo me l’autore riesce a mostrare la naturalezza del suo pensiero.
Nella seconda sezione, al fallimento del rapporto io-tu (Peccato che non ci siamo incontrati oggi…Eravamo così vicini…) ne consegue quello della poesia tout-court (“Non c’è più posto per la poesia”). Il poeta è costretto a uscire dal museo, dal teatro, dalla biblioteca (“Senza l’amore di lontano”) in cui si rifugiava, a confrontarsi con la ripetitività e l’apparente facilità di vicende terrene che sconfinano spesso nella dimensione usuale e mondana (rappresentate, per esempio, dalle rime in -are e dal lessico quotidiano in Sabato sera) e a tornare a casa (I lampioni e nessun altro) prendendo atto che tutto ciò che ha scritto/vissuto è stato pura illusione.
Le immagini costruite e descritte sono di una quotidianità chiara e senza veli, si nutrono del senso di familiarità che il lettore avverte nel leggerle e che è il grande punto di forza della silloge. Il mondo ideale delle donne-angelo non è che un inganno della mente: la realtà irrompe, senza violenza, nei componimenti e diventa il nuovo campo d’indagine, con lo sconforto che comporta.
Alla staticità della prima sezione si oppone il dinamismo della terza, segnata dal viaggio, dalla migrazione, dalla mescolanza linguistica, dal lavoro. L’io poetico in fuga dalla finzione di Donne sparse e dalla realtà evocata in I lampioni e nessun altro, si trova disorbitato tra lo slancio spaziale verso il futuro (“Immensa consapevolezza”) e la gravità temporale che lo riporta verso il passato (“Bevendo un infuso dei tuoi profumi”). La raccolta si conclude con le stazioni di un pellegrinaggio (Boulogne – Varenne, Brest, Le Barcarès – Saint Laurent de la Salanque, Saint-Cloud) e dalle riflessioni che le accompagnano.
Non ho amato ogni singolo componimento – come mi succede per tutte le raccolte di poesia contemporanee –, ma la terza parte è la mia preferita. Continua, naturalmente, la ripresa della tradizione, ma è questa la ripartizione in cui i pensieri dell’autore mi sono sembrati più slegati e liberi, e non per nulla è qui che emerge il fulcro della silloge.
I pensieri si lasciano affondare
nella melma dei flutti immersi.Mattoni su mattoni,
siamo tanti e siamo soli.
La ricerca delle parole si concentra sull’uomo, confinato nella sua solitudine che vuole provare a condividere con qualcuno, nell’atto di esternare le sue incertezze e contraddizioni, la confusione generata dalla stessa esistenza. Il dubbio e il viaggio sono i meccanismi propulsori della sua riflessione: e se da un lato questa sua necessità di porsi domande sulle cose umane e sull’amore può diventare un tormento, dall’altro rappresenta anche la forza che muove la raccolta e le conferisce significato.
Triste la vita di chi non sospira,
di chi non pensa all’esistenza
che trascina, trascinato dal peso
tuttavia non percepito.
(…)
E’ triste la vita di chi sospira,
di chi l’esistenza rigetta,
trascina, trascinato via dal peso
del tutto pensato e sentito.
Con questa segnalazione e breve recensione, consiglio la lettura di In tasca la paura di volare se avete voglia di un testo piacevole e scorrevole, non legato agli standard della poesia del Web che circola ormai ovunque – e che, in quasi tutti i casi, mi lascia perplessa.
È stata un’analisi interessante.
Rispondi