Chi mi conosce sa anche del mio amore per una determinata cerchia di poeti, fra cui il meraviglioso Guido Gozzano, sempre rinchiuso, nel tempo, in categorie che non lo rispecchiano mai pienamente. Ho scelto di parlarvi proprio di lui per sottolineare la sua eccezionalità e per provare, con questo brevissimo articolo, a scardinare alcuni pensieri che spesso ci si porta dalle scuole superiori – sempre che si riesca a studiarlo. La mia fonte è la copiosa raccolta Poesie e prose, edita Feltrinelli Editore (Universale Economica), della collana Classici, acquistato al prezzo di copertina di €13,00 e curato da Luca Lenzini.

Guido Gustavo Gozzano nasce a Torino il 19 dicembre 1883, figlio dell’ingegnere Fausto Gozzano e di Diodata Mautino, “apprezzata attrice dilettante, donna brillante e di buona cultura”. Gozzano non splende particolarmente negli studi, ma comincia prestissimo a comporre, scrivendo La vittima nel 1897 per l’amico Ettore Colla e, successivamente, Primavere romantiche per l’anniversario della morte del padre, nel 1900. Quattro anni dopo si iscrive alla Facoltà di Legge, e comincia a far parte della Società di Cultura, grazie alla quale scopre la cultura francese più recente, quella di Corbière, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé. Il 1906 è l’anno in cui vengono composti alcuni dei suoi testi più celebri ed è anche l’anno in cui Gozzano conosce Amalia Guglielminetti, autrice italiana allora molto in vista. Nel 1907 l’editore Streglio pubblica la sua raccolta La via del rifugio, e a Gozzano viene diagnosticata la tubercolosi polmonare. Il libro comincia a ricevere consensi e recensioni positive su varie testate giornalistiche, e poco dopo ha inizio la relazione fra Gozzano e la Guglielminetti.

Il rifiuto della proposta dell’autorevole Treves per una nuova edizione di La via del rifugio – Gozzano non vuole macchiare la “propria fedina letteraria illibata” – non frena in alcun modo la sua intensa attività letteraria, che produce man mano composizioni che confluiranno poi nei Colloqui, recensioni di romanzi ed altri progetti letterari. Dopo le lodi di Ada Negri, fra i tanti, alla Signorina Felicita ovvero la felicità, apparsa nella Nuova Antologia, nel 1910 Gozzano concorda l’affare con Treves, editore di D’Annunzio, per la pubblicazione dei Colloqui, che avverrà l’anno successivo, portandosi dietro una scia di recensioni, non senza pareri negativi. Ci sarebbe molto altro da dire, ma in questa sede è difficile dilungarsi: la sua produzione prosegue praticamente ininterrotta fino al 1916, in forme diverse. Dopo vari spostamenti, rientra a Torino e, la sera del 9 agosto, muore a soli 32 anni.

Interessantissimo il confronto scritto da Pier Paolo Pasolini fra le figure di Gozzano e Kafka: Gozzano, scrive, “è molto più vicino a Leopardi”, la sua poesia “è tutta narrativa. (…) Se non è una vera storia che egli racconta, è comunque una ‘scena’ di vita reale“. Il lirismo di Gozzano è una specie di effetto teatrale, si staglia su di una scrittura naturalistica e descrittiva, immersa nei tempi dell’imperfetto e del passato remoto, ricca di ricordi e costellata di dettagli. L’opera di Gozzano è il riflesso del suo essere, della sua cultura tutta, della sua concezione letteraria e del suo dolore. Le sue enormi capacità, che lo hanno reso, sempre secondo Pasolini, il rimatore più abile dopo Dante, lo hanno tuttavia esposto come uomo “incompleto”, il cui umorismo “non spiega tutto”.
Gozzano è vittima della propria parodia involontaria. (…) A libro chiuso, appare come un grumo informe e piccolo di dolore e avvilimento, senza né grazia naturale né grandezza costruita.
Già nel 1973 Pasolini scrive che “Gozzano è difficilmente riconducibile a iniziatore o modello per eventuali teorie o gusti letterari nuovi”:
I crepuscolari stessi (…) non hanno alcun motivo per eleggere a caposcuola o maestro un poeta che non ha proprio niente a che fare col crepuscolo: un poeta così spietatamente e incondizionatamente in luce, così incapace di penombre e di sfumature.
Dunque, facciamo attenzione anche noi, oggi, a catalogare la sua vita o le sue opere al di sotto di qualche ambigua classificazione.
La poesia che ho scelto di condividere con voi sembrava chiamarmi: una tempesta inattesa ha scosso questa domenica, ed è abbastanza raro che in Sicilia esploda una pioggia del genere nel pieno di Agosto. A voi, come di regola, l’interpretazione di questo componimento tratto dai Colloqui:
Pioggia d’agosto
Nel mio giardino triste ulula il vento,
cade l’acquata a rade goccie, poscia
più precipite giù crepita scroscia
a fili interminabili d’argento…
Guardo la Terra abbeverata e sento
ad ora ad ora un fremito d’angoscia…
Soffro la pena di colui che sa
la sua tristezza vana e senza mete;
l’acqua tessuta dall’immensità
chiude il mio sogno come in una rete,
e non so quali voci esili inquete
sorgano dalla mia perplessità.
“-La tua perplessità mediti l’ale
verso meta più vasta e più remota!
È tempo che una fede alta ti scuota,
ti levi sopra te, nell’Ideale!
Guarda gli amici. Ognun palpita quale
demagogo, credente, patriota…
Guarda gli amici. Ognuno già ripose
la varia fede nelle varie scuole.
Tu non credi e sogghigni. Or quali cosa
darai per meta all’anima che duole?
La Patria? Dio? l’Umanità? Parole
che i retori t’han fatto nauseose!…
Lotte brutali d’appetiti avversi
dove l’anima putre e non s’appaga…
Chiedi al responso dell’antica maga
la sola verità buona a sapersi;
la Natura! Poter chiudere in versi
i misteri che svela a chi l’indaga!”
Ah! La Natura non è sorda e muta;
se interrogo il lichène ed il macigno
essa parla del suo fine bisogno…
Nata di sè medesima, assoluta,
unica verità non convenuta,
dinnanzi a lei s’arresta il mio sogghigno.
Essa conforta di speranze buone
la giovinezza mia squallida e sola;
e l’achenio del cardo che s’invola,
la selce, l’orbettino, il macaone,
sono tutti per me come personæ,
hanno tutti per me qualche parola…
Il cuore che ascoltò, più non s’acqueta
in visïoni pallide fugaci,
per altre fonti va, per altra meta…
O mia Musa dolcissima che taci
allo stridìo dei facili seguaci,
con altra voce tornerò poeta!-
Rispondi