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#losguardodavicino: reperti archeologici

Buon pomeriggio e buon ottobre! (Non è possibile che sia arrivato così presto, non me ne capacito).

Questo è stato un mese di stallo per quanto riguarda acquisti o letture (ahimè), ragion per cui mi sono dedicata a riscoprire la mia immensa e disordinata libreria, per riuscire comunque, questo mese, a consigliarvi qualcosa e a ricevere consigli da voi, quale è l’intento della rubrica! Fra mille peripezie e libri più o meno integri che vanno dal 1972 ad oggi, ho scelto quattro titoli, due dei quali mi ero scordata di possedere, uno che fa parte dei miei libri preferiti e un altro che mi è stato molto d’aiuto nella formazione della mia interiorità. Ve ne parlo, in attesa di vostri commenti a riguardo.

  Letture clou consigliate

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Quest’ultimo è L’arte di conoscere se stessi – Massime spirituali, di Kahlil Gibran, della Newton Compton Editori, acquistato a suo tempo a soli 1,90, con traduzione di Francesca Ciullini. Questo è il libro dal quale ho tratto la storia della vergine che trovate in questo articolo: una storia veramente straziante. Primo approccio con Gibran, questo: ne sono rimasta colpita e affascinata e, come accennavo prima, questo libricino si è rivelato molto importante per me nella scoperta di nuove visioni e nell’ispirazione di nuove riflessioni. Gli argomenti e le forme sono vari, e si intrecciano armoniosamente fra loro, nonostante le diversità. Dagli aforismi ai racconti alle rappresentazioni teatrali; dalla filosofia alla politica alla moralità. Gibran riflette sull’esistenza, sui suoi valori, sulla morte, la religione, la verità e il sogno. Ad unire tutto ciò sono il tono sempre pacato dell’autore e la sua vena spirituale, che si può solo ammirare, e con la quale si rivela il tentativo di unire due realtà vicine quanto lontane, quella occidentale e quella orientale. D’altronde, questo è stato l’intento della sua opera. Trovo che le sue parole possano essere fonte di riflessione per molti di noi, nel nostro tempo: basta solo saperle interpretare alla luce delle nostre vicende.

cover.jpgHo scritto di un libro che fa parte dei miei preferiti. Ebbene, mi riferisco a Il bambino scambiato di Kenzaburō Ōe, romanzo d’edizione Garzanti, con traduzione di Gianluca Coci. Ricordo di aver visto questo libro in libreria e di esserne rimasta incuriosita: intanto perché sembrava davvero corposo (437 pagine dalla copertina rigida); poi per ciò che c’è scritto sulla stessa copertina, ovvero “Un libro che nasconde un cuore spezzato. Un amico scomparso. Un segreto lontano”; ma soprattutto perché l’autore, premio Nobel per la letteratura, “ha definito questo romanzo il più importante della sua vita”. Anche in questo caso si tratta di un primo approccio con la letteratura orientale, con un premio Nobel giapponese e soprattutto con uno stile e una scrittura assai diverse da quelle cui ero abituata. L’ho trovata una lettura molto difficile, soprattutto all’inizio. Ho dovuto ricominciarlo tre volte prima di riuscire a superare l’ostacolo delle 47 pagine (sì, mi fermavo sempre lì), ma alla fine è diventato uno dei libri che ho più amato in assoluto. La difficoltà cui mi riferisco riguarda una mancanza di regolarità temporale (dovuta alla trama) e l’infinità di riferimenti ad opere e pensieri che si rifanno direttamente al vissuto dell’autore; sì, Il bambino scambiato è un romanzo autobiografico, ed è una storia molto triste, straripante di immagini evocative e atmosfere orientali magnifiche. Una volta terminato, mi sono sentita soddisfatta per essere riuscita a leggerlo e capirlo tutto, ma ho anche sentito una sorta di vuoto dentro. Non ho voluto cercare recensioni, né prima né dopo, l’ho comprato e basta … e adesso vorrei solo ringraziare l’autore. Vi riporto la trama:

E’ mattina presto e la luce dell’alba deposita un minuto pulviscolo dorato sugli scaffali dello studio dell’anziano Kogito, uno scrittore famoso in tutto il Giappone. L’uomo sta guardando, come paralizzato, il contenuto di un’enorme e vecchia valigia: centinaia di audiocassette, tutte registrate dal suo più vecchio e caro amico, Gorō, famoso regista e fratello di sua moglie. Gorō gli ha spedito la valigia pochi giorni prima, accompagnata da un messaggio enigmatico. E poco dopo Kogito è venuto a sapere che l’amico si è tolto la vita. Senza lasciare scritto nulla, senza un perché. Kogito cerca una spiegazione proprio nella voce di Gorō, che ha affidato le sue ultime parole a quei fragili nastri. Parole che portano l’anziano scrittore in Germania, alla ricerca di una donna misteriosa che ha conosciuto Gorō e che custodisce un libro speciale. Un libro che parla di un’antica leggenda, la storia di un bambino scambiato, e risulta legato a doppio filo a un avvenimento di molti anni prima che ha sconvolto la vita di un’intera famiglia. Ma è tra le brumose foreste del sud del Giappone che si nasconde la verità sul segreto che Gorō ha custodito per decenni nel suo cuore. Ed è lì che Kogito deve trovare il coraggio di tornare”.

•  Scavi

Questa seconda parte dell’articolo la voglio chiamare #scavi, perché, come ho già detto, non ho acquistato nulla di nuovo, ma ho ripescato qualcosa di mai letto dalla mia libreria – e ce ne sono di cose lì dentro. Il primo fortunato riesumato è un altro libro Newton Compton Editori, che ho acquistato insieme al libro di Gibran ma di cui avevo rimosso l’esistenza: il Diario del seduttore di Søren Kierkegaard.

diario-del-seduttore_6334_x1000.jpgIl riscatto della sensualità è il primo gradino di un itinerario verso Dio. Questa concezione, diffusa presso gli antichi, trova in Kierkegaard un’analisi fenomenologica e psicologica di sapore moderno. Nel Diario del seduttore, parte importante della più vasta opera Aut-aut, è contenuta la filosofia dell’estetico cui l’autore dedicò il primo momento della sua riflessione. Nel rapporto intenso e tormentato del giovane Kierkegaard con la ricerca del piacere interviene ben presto il demone della coscienza e dell’interrogazione a trasferire la comprensione della seduzione sul piano intellettuale e ad aprire la strada verso l’esistenza religiosa”.

Il secondo miracolato era stato realmente lasciato a se stesso in un anfratto buio, e l’ho trovato addirittura avvolto nella pellicola, mai scartato – ho scoperto che lo aveva preso mia sorella grazie a non so chi a scuola, e lo aveva semplicemente riposto, dimenticandosene, senza dirlo a nessuno: Il Tartufo e Il Malato immaginario di Molière, rispettivamente la più celebre e travagliata commedia dell’autore, e quella che Voltaire definì “farsa”. Sono molto curiosa di leggere queste due commedie, visto che mi trovo ignorante in materia Molière – non ci bastavano i primi approcci, per certe cose sono proprio ignorante.

20170916_1223199.jpgIl Tartufo (…) è il ritratto di un perverso falso devoto nelle cui spire malvage cadono l’onesto borghese Orgone e sua madre. Nel Malato immaginario sono ancora una volta i medici bersagli della risata caricaturale di Molière: commedia tanto più amara in quanto nel protagonista Argante, sano ma convinto di essere molto malato, è facile vedere Molière stesso, che malato era davvero e che infatti durante la quarta rappresentazione fu colto da una crisi mortale”.

Come sempre, alla fine, lascio l’ultima parola a voi: conoscete qualche titolo di questi? Se sì, cosa ne pensate? Quali libri mi consiglierete questa volta?

Buon proseguimento di giornata, grazie per la lettura e a presto! ♥



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Retroscena

Sono Anna Negri, classe ’98, dottoranda in Studi Umanistici a Palermo, ex libraia Mondadori, lettrice appassionata (soprattutto di poesia), aspirante scrittrice secondo il mio diario di terza media. Qui raccolgo attività, pareri, approfondimenti.

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