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#riverberodipoesia: Giovanna Cristina Vivinetto

Con colossale ritardo, pubblico finalmente il primo articolo di #riverberodipoesia del 2019 che, sinceramente, è iniziato benissimo sotto molti aspetti – tutto bilanciato, tranquilli, nel bene e nel male. In quanto articolo d’apertura di quest’anno, gli attribuisco un peso particolare: d’altronde, come si dice, “chi ben comincia è a metà dell’opera”. E la silloge che riapre il nostro itinerario poetico mensile – settimanale, su Instagram – è stata la rivelazione dello scorso anno, un insieme di versi dalla grande carica lirica, dal forte impatto emotivo, che custodiscono un messaggio di comprensione, di verità e umanità, un messaggio profondo e spesso lasciato alla deriva: mi riferisco a Dolore minimo, raccolta d’esordio di Giovanna Cristina Vivinetto, edito da Interlinea edizioni e facente parte della collana Lyra giovani, a cura di Franco Buffoni (prezzo di copertina di € 12).

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@riverberodiparole

Conoscere la vita della poeta – come Giovanna si fa chiamare – è, in questo caso più che mai, indispensabile per comprendere la natura e il contenuto della sua opera: il suo è il “primo libro in Italia ad affrontare in versi la transessualità”.

Giovanna Cristina Vivinetto è una mia giovane conterranea, nata a Siracusa nel 1994. Si è laureata in Lettere e attualmente vive a Roma, dove ha da poco conseguito la laurea magistrale in Filologia moderna all’università La Sapienza. I suoi scritti sono apparsi e sono stati recensiti sul n. 86 della rivista di poesia e critica letteraria Atelier, sulle riviste online Pioggia Obliqua e La Tigre di Carta, sui siti web Poetarum Silva, Atelier Online, Carteggi letterari, Nazione Indiana e sul blog della Rai dedicato alla poesia e diretto da Luigia Sorrentino. Il suo percorso di transizione comincia nel 2013, quando frequentava ancora il liceo, e subito ha sentito la necessità di mettere nero su bianco quello che le stava accadendo, come ha dichiarato in una intervista recente, a cura di Adelaide Barigozzi, sulla rivista Cosmopolitan: «All’improvviso ho avvertito l’esigenza di testimoniare attraverso la poesia che nel mio percorso di vita non c’era nulla di mostruoso. Era assolutamente normale e non c’era nulla di cui vergognarsi. Dovevo esserne solo fiera, perché ero stata coraggiosa».

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La prima edizione di Dolore minimo è esaurita nel giro di un mese, e continua a registrare un successo eccezionale – e meritato, a mio parere – a livello nazionale, coinvolgendo ampiamente anche i più giovani, con presentazioni frequenti in molte città della sua terra natale e di tutta Italia. Trattandosi di una giovanissima autrice della nostra attualità, possiamo soltanto sostenerla e augurarle tutta la fortuna che serve per la sua carriera.

Mentre attendiamo con ansia le sue future pubblicazioni, soffermiamoci sul significato, sulla bellezza e sul valore dei componimenti della sua raccolta d’esordio. Ho avuto l’immenso piacere di partecipare ad una delle presentazioni tenutasi a Palermo, presso Spazio Cultura Libreria Macaione, il quattro gennaio: è stato bellissimo incontrare di persona Giovanna, parlare con lei e ascoltarla. E “ascolto” è una delle parole chiave, a mio avviso, in questo contesto: Dolore minimo è un diario, un romanzo in versi che si dispiega in versi semplici per raggiungere una essenziale profondità, in una sorta di terapia auto-imposta che ha permesso all’autrice di guardare da un’altra prospettiva la propria esistenza. Quella di Vivinetto è una poesia che ascolta, che invita all’ascolto e che, in qualche modo, sa ascoltare le sensazioni intime del lettore, è una poesia fatta di dialogo, di attesa, di rapporti umani, di ruoli, e il suo è uno sguardo che solca la psiche con sempre più forza alla ricerca del Nome. Il disagio e la sofferenza segnano un percorso che procede a passo sempre più sicuro, dipingono una realtà di tormento che vuole esorcizzare il suo stesso male:

Per acquietare il male che lo assale / il poeta lo canta. […] Non voglio che tu lo colga / per salvarmi. Mi aspetto / che lo guardi crescere. E appassire. / Rannicchiarsi sfinito fino a non esigere / più nulla. Mi aspetto che il mio male / non ti faccia più male.

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La presentazione di Dacia Maraini e la nota finale di Alessandro Fo sintetizzano bene i significati di questa silloge e ne spiegano chiaramente la potenza comunicativa. Dolore minimo si apre con un doppio che si analizza all’interno (e quindi anche all’esterno, fisicamente), un doppio intimamente tormentato che, alla fine, riesce a spezzarsi e a ricostruirsi nel modo più sano possibile. È un doppio che si osserva attentamente: affronta i sentimenti negativi, la scissione, osserva le perdite nel suo accidentato cammino, molto poche se si considerano, poi, le conquiste – ma senza dubbio dolorose. Giovanna nasconde per molto tempo una verità che adesso, una volta e per sempre, può rivelarsi in tutta la sua bellezza, può liberare tutta la vita che è sempre stata in lei, che tuttavia non può abbandonare l’angoscia di quello che è stato:

Tutto si chiude su te per celebrarti. / Ma quel che è stato non è l’ardore / della festa, il riso sproporzionato / dei bambini. È l’angoscia composta / del funerale che si scioglie.

Giovanna non può nemmeno slegarsi totalmente dal doppio: tutto quello che viviamo ci rende le persone che siamo, in una evoluzione continua. La sua consapevolezza del dover “andare da sola” penso vada meglio interpretata come la trasformazione di un modo di concepire il passato, da peso e “consolazione” a pacata constatazione, a necessità di guardare avanti perché chi prima era, adesso non è e non sarà mai più.

E ora che ho imparato ad amarti,
tu, sofferta mia consolazione, tu ora
hai deciso di non esserci più.
Ora che una grande paura mi prende.
Ora che so di dover andare da sola.

La formazione classica di Giovanna Vivinetto traspare nei suoi versi (“Divenni indovina, un’altra Tiresia”) che però sono originali e si dilatano in modi nuovi ed incantevoli e malinconici, anche quando riflettono sulla materia, sulla carne, sul corpo. Guardando maggiormente alla poesia di Szymborska, il suo versificare è dolce, delicato, preciso, attento e aperto, ampio. Il dolore accompagna la rinascita, si insinua come parte integrante e imprescindibile di un dialogo fra due momenti che si confrontano per dare spazio alla nuova libertà di un nuovo nome, di una nuova esistenza.

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La poesia che vi propongo fa parte della seconda sezione, che ne prende il nome: La traccia del passaggio.

La traccia del passaggio – mi dici –
da qui non si vede. Non è evidente.
Tu non sai, ma ci sono solchi
estranei alla luce degli occhi.
Benedico il tuo non comprendere,
l’innocenza con cui ti arresti
un poco prima del dolore
– l’istinto di tirarti fuori.
Non chiedere: non ho sintagmi
con cui adornare la realtà delle cose.
Non ho perifrasi per salvarmi.

La traccia del passaggio – non la vedi
perché il mio sentiero è troppo
stretto per starci in due.



3 risposte a “#riverberodipoesia: Giovanna Cristina Vivinetto”

    1. Vero, è una raccolta splendida 🌼

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  1. […] avevo parlato di Giovanna Cristina Vivinetto in un articolo della rubrica #riverberodipoesia, più di un anno fa, in occasione della presentazione di Dolore minimo, suo eccezionale esordio […]

    "Mi piace"

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Retroscena

Sono Anna Negri, classe ’98, dottoranda in Studi Umanistici a Palermo, ex libraia Mondadori, lettrice appassionata (soprattutto di poesia), aspirante scrittrice secondo il mio diario di terza media. Qui raccolgo attività, pareri, approfondimenti.

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