Ho meditato molto prima di cimentarmi in questa “impresa” perché non sapevo bene da dove cominciare, né come affrontare l’argomento; ma ho pensato, anzi, io e le mie colleghe abbiamo pensato che fosse necessario condividere qualcosa sulla condizione di isolamento di uno degli intellettuali più straordinari degli ultimi anni del ‘700.
Voglio delineare qui i punti fondamentali dell’ideologia di Francesco Paolo Di Blasi considerando gli aspetti più significativi della sua esistenza e dei suoi scritti più celebri, la Dissertazione sopra l’eguaglianza e la disuguaglianza degli uomini in riguardo alla loro felicità (1778) e il Saggio sulla legislazione della Sicilia (1790). Lo spunto di riflessione mi è stato dato da un libro che ho studiato per l’esame di Letteratura Italiana II, L’invenzione della Sicilia di Matteo di Gesù, mio docente, che si occupa appunto della questione dell’identità siciliana in relazione all’influenza della letteratura e di quelle personalità, come il Di Blasi, che si sono concentrate sulla condizione, soprattutto sociale, degli abitanti della propria terra. Nel corso dell’articolo riporterò alcune considerazioni da questo testo, che consiglio caldamente a chiunque voglia saperne di più su una questione che lega letteratura, mafia e antimafia, che ha le sue radici nell’epoca di Di Blasi e che giunge fino ai nostri giorni, proseguendo con la sua storia.
“Leonardo Sciascia, nel suo Consiglio d’Egitto, ha saputo magistralmente mostrare come (…) l’intera vicenda biografica di Francesco Paolo Di Blasi appaia sorprendentemente paradigmatica, e drammaticamente allegorico il suo esito tragico: (…) una storia individuale che sembra personificare, nel suo disegnarsi, la parabola di un’intera società”.
Si apre così il capitolo I del libro, chiamato “Come si può essere siciliani?” Francesco Paolo di Blasi illuminista; cerchiamo di capire per quale motivo l’esistenza del Di Blasi risulta talmente emblematica ed esemplare da rappresentare la parabola di un’intera società. Le prime pubblicazioni del giovane vedono la luce in un momento particolare per la società siciliana: le dottrine della Francia illuminista si diffondevano e stimolavano gli studiosi e gli intellettuali, rendendo anche il contesto culturale siciliano particolarmente vivace. E’ vero che la Sicilia – d’altronde neanche l’Italia generalmente – non aveva subìto trasformazioni rilevanti, soprattutto nell’assetto sociale, ma quelli di Caracciolo e, dopo di lui, Caramanico furono dei veri e propri viceregni illuminati, che diedero molta speranza a quegli intellettuali che, come il Di Blasi, aspiravano ad una “trasformazione per via riformistica dello Stato”. La fine di questa stagione viene descritta magnificamente nel Consiglio d’Egitto, nella terza parte del quale incontriamo il viceré Lopez y Royo dalle spinte ideologiche assolutamente opposte a quelle dei suoi predecessori.
Nella felice stagione dei viceregni illuminati videro la luce le due opere fondamentali del nostro giurista palermitano, di cui ho letto qualche stralcio. Ne emerge una visione della società e dei rapporti fra gli uomini assolutamente unica per la Sicilia di quel tempo, ed è facile, naturalmente, riconoscere riferimenti e punti di contatto con i grandi illuministi francesi e italiani. Ma voglio lasciar parlare direttamente i testi, attraverso alcuni passi a mio parere emblematici:
Dallo scritto del ’78: “La disuguaglianza negli uomini ripugna alla ragione sufficiente, e la natura generalmente tende all’egualità. Non potendo allegare maggior diritto di essere o di essere tale presso la comune madre natura questi più di quello, non poteva richiedere de’ privilegi; non li domandò, infatti, e tutti gli uomini furono alla piazza istessa collocati. Sia però che la limitazione da se stessa corruttela conduce ed al variare, siavi un fatto che i filosofi non sono in obbligo di sapere, questa prima formazione sofferì un totale cambiamento. Nacque la legge del più forte, che si oppose alla legge di egualità, e superolla: a resistere alla quale nuova forza impiegandosi, ecco formate le fazioni diverse, ecco stabilite le società. Infinita distanza quindi si osservò tra di coloro, che nacquero eguali, e formandosi una nuova idea di felicità di quella, che ognuno leggeva internamente nel cuore, s’impegnarono tutti ad occupare i posti dalli primi turbatori dell’ordine naturale stabiliti ed occupati. (…) Gli uomini son già divenuti tutti nimici, ed ognuno cerca, per ogni via, di sopraffare gli altri: ecco le custodie, le torri, le fortezze, gli edifizi elevati sopra la terra. (…) Questi desideri, che conseguiti formano la gioia di alcuni con la rovina di altri, nel loro formarsi fanno la infelicità di ognuno”.
Questa è la concezione della società che aveva Di Blasi, in un periodo in cui in Sicilia i detentori di alti titoli sarebbero stati capaci di fare qualsiasi cosa pur di difendere i propri privilegi in ambito giuridico, economico e sociale – ciò è palese nel Consiglio d’Egitto, non smetterò mai di citarlo in questo contesto. Nella sua visione rivoluzionaria e riformistica, Di Blasi si pone importanti questioni che lo portarono alla creazione del Saggio sopra la legislazione della Sicilia, in cui getta le basi per la creazione di un nuovo codice legislativo dopo aver constatato la condizione attuale del sistema.
“Quando si arriva a questo stato non bisogna più riformare, moderare, aggiungere, sottrarre. Bisogna commettere ad un filosofo la nazione”.
Ecco cosa propone il Di Blasi: un nuovo codice che possa essere breve, giusto, un insieme di leggi che possano ridurre il numero delle liti e regolamentare i costumi ed il comportamento degli uomini tutti. Vengono trattati temi quali la proprietà dei beni, le successioni, le doti e la nobiltà, l’educazione, i ceti, il lusso e le tassazioni, sulla base della concezione per la quale tutti gli uomini, per loro volere, vivono in società, e di conseguenza nessuno può astenersi dal rendersi utile alla stessa e provvedere a fare il proprio dovere.
“Di Blasi propende per una intonazione moralistica e devolve semmai al solidarismo tra i ceti la possibilità di conseguire un equilibrio tra bisogni, desideri e possibilità di soddisfarli”.
Un termine ricorrente nelle sue pagine è “verità”, ed è amaro constatare “l’esiguità della biografia critica esistente” sul giurista palermitano, rivelatrice, scrive sempre Di Gesù, “della scarsa affezione della pubblicistica e della critica letteraria, siciliana e non solo, verso questa figura di illuminista che, per il contesto nel quale visse e operò, non può non dirsi, in senso letterale, straordinaria”.
Francesco Paolo di Blasi morì nel 1795. Fu torturato e condannato a morte una volta scoperta la congiura che stava organizzando per tentare di continuare a seguire, in via estrema, gli ideali che poteva alimentare sotto la reggenza di Caracciolo o Caramanico. Fu decapitato, modalità di condanna che spettava ai nobili, a differenza della <<volgare>> impiccagione – e questa fu la morte anche della sua ideologia (la beffa oltre al danno, insomma).
“Il nazionalismo democratico siciliano tornerà ad influenzare le lotte politiche del primo Ottocento”, ma fino ad allora possiamo affermare senza dubbio che questa figura di intellettuale e politico, sulla quale si sa veramente poco e non si è voluto indagare abbastanza in passato, sia stata importantissima nel contribuire a delineare delle concezioni che muoveranno la storia dei secoli a venire, insieme ad altri uomini che la pensavano come lui, e la sua morte ha significato anche la fine della speranza di un cambiamento nella Sicilia dei viceregni antigiacobini e conservatori che contribuirono a tenere l’isola chiusa in un recinto di arretratezza.
Ti ringrazio infinitamente per questo tuo scritto! Interessantissima la figura di questo grande uomo
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Sono contentissima di averci scritto un articolo, dopo averlo scoperto mi si sono aperti un po’ di più gli occhi, e ho voluto condividerne la vita ed il pensiero. Felice che interessi come interessa a me! ❤
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