Stavo pensando ad alcuni momenti della mia vita.
No, non mi sono svegliata stamattina con questa indole improvvisa: ho riacciuffato dal cassetto una busta straripante di quaderni e carte varie. Non sono mai stata brava a tenere un “diario a forma di diario”; invece mi è sempre piaciuta l’idea del quaderno, una raccolta di carta normalissima, segnata da righe imprecise, anonima nel contenuto e nella copertina. Credo che questo semplice modo di pensare al quaderno mi abbia spinta a lasciarmi andare più facilmente di fronte al mio infinito flusso di pensieri, senza alcun timore di essere “scoperta” perchè, insomma, che ci sarà mai di strano in un quaderno di scuola? Da quell’idea confortante sono passati ben più di cinque anni: la prima pagina del primo quaderno reca la data dell’8 Marzo 2012.
Ci sono stati periodi di costanza nella stesura di questi “diari estesi”, ma è proprio nei momenti di incostanza che adesso riesco a leggere il cambiamento. Senza rendermene conto, ho potuto realizzare il time lapse della mia adolescenza.
Scrivere è stato sempre terapeutico per me, e sono riuscita a capirlo soltanto adesso, dopo una vita passata a riempire i più piccoli pezzi di carta con qualsiasi cosa mi passasse per la mente (e la nonna Dora li conserva tutti!). Seguirono molte pagine dopo la prima, e presto finirono quelle del primo quaderno, e allora cominciai a trovare confortante anche lo sfogliare quei fogli di pensieri passati e giornate concluse. Questo conforto lo provo ancora oggi, ed ecco come sono giunta all’argomento di questo articolo.
Negli anni, ogni volta che riprendevo i quaderni per scrivervi qualcosa o semplicemente per sfogliarli, riuscivo a ritrovare la calma perduta, l’ordine ai miei crucci, ma solo adesso mi sono resa conto di quanto sia importante per me scrivere. Anche soltanto una parola era ed è sufficiente a stravolgere il mio stato d’animo, e mutarlo del tutto. Mi sono accorta che ho scritto con foga sui quaderni soprattutto nei momenti di confusione totale, di rabbia inespressa, di delusione e, perchè no, disperazione, nei limiti di una adolescente in crisi. Ho scritto molte cose brutte e molte cose belle su quelle pagine, ma rileggerle con i miei occhi attuali mi ha fatto capire molte più cose su me stessa: soprattutto mi ha permesso di realizzare cosa realmente rappresenti per me l’atto dello scrivere. Mettere su carta le mie emozioni, solitamente durante i primi istanti della notte, e collegarle agli avvenimenti di una data giornata, mi dava (e mi dà) la sensazione di depositare dei pesi che non mi avrebbero fatto dormire serenamente – sono una persona che tende a rimuginare troppo sulle cose, senza riuscire mai a sfogarsi del tutto con qualcuno.
Così ho trovato una vera e propria terapia per risolvere i miei conflitti interiori.
Col tempo, i quaderni sono diventati qualcosa di più: i ricordi cominciavano ad accumularsi, oltre che in forma scritta, anche attraverso fotografie, biglietti del cinema, lettere… pian piano, queste pagine da riempire sono diventate la fonte della mia pienezza. Considero questo blog una forma “evoluta” e particolare dei miei quaderni, un nuovo modo in un mondo nuovo in cui posso occuparmi di ciò che mi piace e condividerlo; per questo volevo affrontare questo argomento qui, ora, e creare un ponte immaginario che colleghi tutte le motivazioni che mi hanno portata qui e ora.
Con me la camomilla non funziona! E chiedo a voi: cosa significa per voi afferrare una penna e buttare giù qualcosa? Come vi fa stare bene scrivere? Grazie per il tempo dedicato a questo breve articolo, e a presto!
in evidenza: The slave ship, William Turner, 1840
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