La prima domenica del mese significa solo una cosa – non è vero, ma lasciatemelo passare: il nostro appuntamento ormai mensile con l’approfondimento sulla vita e sull’opera di un autore o di un’autrice che vi propongo. Oggi ho scelto un breve componimento di Ada Negri, poetessa italiana che attraversa, con la sua vita, uno dei periodi più critici della storia europea – e mondiale -, respirando entrambe le guerre mondiali e le grandissime trasformazioni del Novecento.

La mia fonte, per questo articolo, è Mia giovinezza – Poesie, una antologia di poesie scelte, a cura di Davide Rondoni e appartenente alla collana Biblioteca dello spirito cristiano di BUR (prezzo di copertina € 8,00). I componimenti sono tratti da raccolte ordinate cronologicamente, mostrando una poesia in evoluzione e sempre emotivamente carica: Fatalità (1892), Tempeste (1895), Maternità (1904), Esilio (1914), Il libro di Mara (1919), Vespertina (1930), Il dono (1935), Fons Amoris (1939-1943).
Proviamo a conoscere un po’ meglio una figura tanto lodata quanto criticata come quella di Ada Negri. Il 3 febbraio 1870, a Lodi, Vittoria Cornalba, tessitrice, dà alla luce la nostra poetessa, figlia di Giuseppe Negri. La famiglia d’origine è molto povera e presto Giuseppe si ammala di febbre tifoidea e muore, rendendo le condizioni economiche della famiglia ancora più disastrose. Le giornate di Ada scorrono lente nella palazzina in cui abita con la madre, che, dal canto suo, fa tutto il possibile per garantire un’ottima istruzione alla figlia, che riesce ad iscriversi alla Scuola Normale Femminile di Lodi nel 1881 e a conseguire, in seguito, l’attestato di maestra elementare.
Nel 1888 comincia a insegnare e a scrivere le sue prime poesie, che saranno poi raccolte in Fatalità (in una edizione curata dai Treves). Forte, in questa primissima fase, la tematica sociale, che capeggia fra i versi probabilmente a causa del vissuto personale della poetessa. Questa prima raccolta ha un successo così eclatante da ricevere molti riconoscimenti e persino un articolo dedicato sul Corriere della sera, scritto da Sofia Bisi. Di lì a poco, nel 1894, le verrà anche assegnato il Premio «Giannina Milli»: Ada Negri decide di dedicarsi interamente alla scrittura, l’insegnamento non fa più per lei. La fama improvvisa la porta ad insegnare a Milano, dove entra in contatto con personaggi quali Filippo Turati, Benito Mussolini – che si terrà in contatto con lei successivamente, nella sua ottica di “approvazione e propaganda” attraverso la cultura – e Anna Kuliscioff.
La seconda raccolta, Tempeste, compare già nel 1895; l’anno seguente, Ada sposa Giovanni Garlanda, industriale laniero biellese, dando alla luce, poco dopo, la figlia Bianca. La secondogenita, Vittoria, nasce e muore, purtroppo, nello stesso 1900.
La terza raccolta, Maternità, si riempie di soggettività e autobiografismo: la cosidetta “poetessa del Quarto Stato” comincia ad elaborare pensieri profondamente personali ed intimi attraverso i suoi versi. Segue la pubblicazione di Dal profondo e arriviamo al 1913, anno in cui si registra la definitiva separazione da Garlanda. Ada Negri si trasferisce a Zurigo con la figlia, Bianca, e scrive Esilio, che esce nel 1914. Allo scoppio della prima guerra mondiale torna in Italia, dedicandosi intensamente al sostegno dei combattenti e all’assistenza dei feriti di guerra.
Le vicende personali della poetessa si intrecciano con i tragici eventi della storia, e le pubblicazioni successive, numerose, in poesia e in prosa, vedranno man mano emergere la componente della memoria, dolorosa e toccante.
Emblematico l’anno 1931, in cui Ada Negri riceve il Premio Mussolini in Campidoglio, evento che la consacra come intellettuale di regime. Questa è la notizia più controversa sulla sua biografia, che ha generato profonde critiche in merito alla sua letteratura. Ma sappiamo bene che è piuttosto difficile esprimere un parere assoluto circa queste dinamiche storiche: in questo caso, cercando di fugare i pregiudizi e gli estremismi, voglio fare un minuscolo appunto attraverso le parole di Rondoni, che scrive:
Ada Negri non era iscritta al partito fascista, lo fu «d’ufficio» al momento dell’ingresso nell’Accademia, quando era già al culmine della notorietà.
Nel 1940, appunto, Ada Negri è la prima donna della storia ad essere accolta nell’Accademia d’Italia; ma già allora il suo ritrovato ed appassionato sentimento religioso l’aveva gettata in una sfera d’ombra e di oblio. Morirà appena cinque anni dopo, tra il 10 e l’11 gennaio 1945, lo stesso anno della fucilazione di Mussolini e della fine della Seconda guerra mondiale.
In questo sentir la vita come «evento», come «avvenimento», sta la prima energia della poesia di Ada Negri. Quella energia agisce ancora nella lettura dei suoi testi. (…)
C’è qualcosa nell’opera di Ada Negri che risuona come sfida. Non fu una intellettuale, la sua cultura non era costruita su cataste di libri, eppure nei suoi testi, scrisse il Flora nel 1940, «si fissano i temi dell’amore, della maternità, della fatica umana in modo inconsueto». (…) La poesia di Ada Negri appartiene alla propria epoca, ma non fu d’ispirazione letteraria. (…) L’unica influenza che riconobbe esplicitamente fu da Leopardi.
Un inno alla vita, quello di Ada Negri, insomma: un percorso poetico che non giunge alla “inconsistenza” ma alla rivelazione di un eterno, di un dono che è la vita in ogni suo attimo e in ogni sua sfumatura di bellezza, un sentimento nuovo, semplice e complesso insieme, in qualche modo attuale e lasciato cadere nell’oblio più nero. Nella sua stessa biografia si riscontra la passione vitale dell’amore, della eterna giovinezza e beltà che “da sempre è lo scopo della poesia e di ogni opera veramente umana”.
Proprio in relazione a questa interessante lettura della sua opera, vi propongo il seguente componimento, breve ma efficace nella sua semplicità. A voi, come sempre, l’interpretazione – e l’interiorizzazione – di questi versi:
Fine
La rosa bianca, sola in una coppa
di vetro, nel silenzio si disfoglia
e non sa di morire e ch’io la guardo
morire. Un dopo l’altro si distaccano
i petali; ma intatti: immacolati:
un presso l’altro con un tocco lieve
posano, e stanno: attenti se un prodigio
li risollevi e li ridoni, ancora
vivi, candidi ancora, al gambo spoglio.
Tal mi sento cader sul cuore i giorni
del mio tempo fugace: intatti; e il cuore
vorrebbe, ma non può, comporli in una
rosa novella, su più alto stelo.
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