Ricordo di aver scoperto la Pozzi l’anno scorso appena, quando decisi di iniziare a colmare tutte le lacune possibili in ambito di poesia e conoscere tutti gli autori che furono e che sono – impresa alquanto ardua, ne sono consapevole. Ho comprato Guardami: sono nuda alla libreria Feltrinelli di Palermo, un po’ alla cieca (come faccio spesso con autori di cui non ho ancora letto nulla, dei quali non cerco mai nulla per poterli scoprire da sola passo dopo passo). Sono rimasta molto colpita dalla sua opera, dal suo stile e dalle immagini che crea e che suscita, dalla tristezza consapevole, da come traspare il suo vissuto anche attraverso poche parole.
Dunque oggi vi riporto un componimento che mi piace particolarmente, dalla raccolta citata, curata da Ernestina Pellegrini:
Sventatezza
Ricordo un pomeriggio di settembre,
sul Montello. Io, ancora una bambina,
col trecciolino smilzo ed un prurito
di pazze corse su per le ginocchia.
Mio padre, rannicchiato dentro un andito
scavato in un rialzo del terreno,
mi additava attraverso una fessura
il Piave e le colline; mi parlava
della guerra, di sé, dei suoi soldati.
Nell’ombra, l’erba gelida e affilata
mi sfiorava i polpacci: sotto terra,
le radici succhiavan forse ancora
qualche goccia di sangue. Ma io ardevo
dal desiderio di scattare fuori,
nell’invadente sole, per raccogliere
un pugnetto di more da una siepe.
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