Il terrore e il panico stanno nello spazio che precede incontri e collisioni.

Febbre è uscito il 9 maggio, e prosegue il nostro Blog Tour che accompagna il suo primo mese di pubblicazione. La scorsa settimana Federica vi ha parlato della nuova uscita edita da Fandango attraverso la recensione del romanzo; in questa seconda tappa, io vi parlerò di quelle che abbiamo definito “questioni di potere”. Quali?
Agli occhi del lettore di Febbre, fra un’intersezione col passato e l’altra, sarà subito chiaro che la famiglia di Jonathan – autore, narratore in prima persona – non rispecchi proprio l’ideale del nido caldo, accogliente e sereno che ancora oggi, talvolta, primeggia nell’immaginario comune. Le dinamiche familiari che si profilano tassello dopo tassello sono articolate, tumultuose, spaventose e aperte. In premessa, il nucleo originario madre-padre-figlio, già precario per varie motivazioni, si sfalda e determina la prima rottura decisiva che fa subentrare con maggiore forza le influenze dei nonni materni e paterni, nel bene e nel male, nonché di una serie di altri personaggi che appaiono e scompaiono.
Il sistema famiglia che ci viene raccontato – come poi un po’ tutte le famiglie di Rozzano descritte in quanto fugaci ma significative incursioni nella struttura degli affetti – si fonda su un principio trasparente: il maschio detta legge, detiene le redini della famiglia, per qualsiasi cosa, nonostante tutto. Nonno Biagio e nonno Pierluigi costituiscono gli esempi, chi più chi meno, dei dispotici padri padroni, coloro che controllano tutto, che hanno il potere di decidere su tutto, senza i quali non ci si può arrischiare di fare un passo avanti. Anche quando la malattia li colpisce, i capifamiglia esternano il dissenso: Biagio, dopo l’ictus, continua ad arrabbiarsi furiosamente se qualcuno non fa come aveva stabilito; “prima che si ammalasse, il nonno (Pierluigi) era il centro di tutto, dicono. Era il motore della nostra famiglia”. A partire dai nonni, tutti i maschi alfa della famiglia seguiranno questo modus cogitandi e operandi.
Quella di Jonathan è dunque una famiglia in cui una donna deve soltanto “fare i mestieri”, se va a lavoro significa che “ha l’amante, è una poco di buono”, e invece è necessario che sia la “serva di suo marito”, questo è il compito che le spetta; è una famiglia in cui i nipoti vengono trattati diversamente in base al grado di parentela, alla vicinanza (se così si può definire) nella linea di sangue, in cui si chiude sempre un occhio per Luca perché “è il figlio di sua figlia, io sono solo il figlio della Tina, l’ex moglie di papà. Nessuno me lo dice ma io l’ho capito che questa è una differenza importante”. L’ordine famigliare è in sostanza di tipo gerarchico e sessista:
Del resto quando sono nato, il nonno era su di giri. Il primo nipote, maschio, un Bazzi.
Il maschio dirige e si addossa il peso del focolare – la famiglia come peso, appunto, esercizio di un potere illimitato.
Educare è esercitare un potere, affermare una supremazia.
La donna sta chiusa in casa, sbriga le faccende, partorisce e alleva i figli ma le regole le detta sempre il padre, il nonno: orario, coprifuoco, programmi televisivi, dialoghi e silenzi.
A casa dei nonni ci sono regole, leggi non scritte.
Siamo di fronte ai rimasugli di una concezione patriarcale della famiglia radicata in un ambiente che non lascia spazio ad alternative – cultura, politica, pensiero generale; il sesso diventa anch’esso uno strumento di controllo, di assoggettamento. La famiglia tradizionale così concepita, come una sorta di cappio al collo, come una spinta ad andare contro alla propria natura attraverso la “lingua dei maschi”, mi ha un po’ ricordato un seminario sulle pubblicazioni di Goliarda Sapienza e Silvana Grasso: d’altronde, forse, siamo più avvezzi, ormai, a sentir parlare le donne riguardo alle oppressioni legate all’ambito familiare, sempre in un contesto di genere. In questo romanzo le costrizioni sono diffuse, colpiscono soprattutto le donne ma non soltanto le donne, sono influssi impietosi, condizionanti nella vita di Jonathan bambino, che descrive ma non comprende fino in fondo, e di Jonathan adulto che sa, e che deve fare i conti con il turbinoso passato e il devastante presente. Sono le tracce che ci portano inevitabilmente alla tematica dell’amore familiare e del disinteresse.
Postulato: “La famiglia è importante, la famiglia c’è sempre, è fatta per sostenersi l’un l’altro”. Realtà dei fatti: “Tutto nella mia famiglia è sempre successo a distanza”.
L’amore si rivela molto diverso da ciò che Jonathan immaginava, riponendo speranze nella potenza del sentimento amoroso come una sorta di protezione, di forza benefica perenne e liberatoria. Ma le dinamiche descritte appaiono ben lontane dall’immagine dell’amore incondizionato: piuttosto è un amore condizionato dal potere, ad esso subordinato.
Hellinger, lo psicologo delle Costellazioni Familiari Sistemiche, diceva qualcosa di particolarmente azzeccato a proposito: «L’amore è una parte dell’ordine, l’ordine precede l’amore, e l’amore può solo svilupparsi in base all’ordine. L’ordine è preposto. Se capovolgo questo rapporto e voglio trasformare l’ordine attraverso l’amore, sono destinato a fallire». Questo è proprio ciò che accade nella famiglia di Jonathan – senso di non appartenenza, limitazioni, preferenze e coperture.
E questo ci porta al tema della violenza domestica, pure presente, che merita un approfondimento in quanto diretta esternazione della presa di potere in ambito famigliare. Il sito internet dei Carabinieri recita: «Secondo l’OMS la violenza domestica è un fenomeno molto diffuso che riguarda ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale e le varie forme di comportamenti coercitivi esercitati per controllare emotivamente una persona che fa parte del nucleo familiare. Può portare gravi conseguenze nella vita psichica delle donne, degli uomini e dei bambini che la subiscono perché può far sviluppare problemi psicologici come sindromi depressive, problemi somatici come tachicardia, sintomi di ansia, tensione, sensi di colpa e vergogna, bassa autostima, disturbo post-traumatico da stress e molti altri. Le condizioni di chi subisce la violenza sono tanto più gravi quanto la violenza si protrae nel tempo, o quanto più esiste un legame consanguineo tra l’aggressore e la vittima». Vediamo cosa succede da vicino.
Il ruolo preponderante del capofamiglia così inteso può affermarsi solo con un regime di paura e violenza: la violenza – fisica, psicologica – come strumento per farsi ascoltare. Che sia uno schiaffo, uno strattone, uno sguardo intimidatorio, una stretta forte delle dita, una voce grossa che rimprovera, una sfilza di botte, in questo sistema il padre, maschio, figura guida e motore dell’organismo tutto è chiamato a sottomettere i membri disobbedienti.
Gli episodi di violenza fisica descritti diventano sempre più espliciti e crudi, ed è indiscutibile la costante tensione che possiamo respirare anche noi tramite l’osservazione delle conseguenze con gli occhi di Jonathan: basti pensare a Concetta, detta Tina, sua madre, che cade e ricade in depressioni e crisi nervose, esplode e crolla, subisce pressioni psicologiche e percosse, rivelando un’insicurezza e un terrore profondi imputabili al contesto in cui è cresciuta. L’ordine e il potere indiscusso del singolo sul nucleo familiare deformano le personalità, le indeboliscono o le spingono a costruire una corazza fra sé e l’altro; e così nessuno impara a condividere le emozioni, “ognuno restituisce quello che ha ricevuto”.
La depressione parla una lingua conosciuta alla nostra famiglia, non scandalizza nessuno.
Come una macchia, una “piccola minuscola indimenticabile onnipresente macchia”, il potere patriarcale conosciuto e osservato risale attraverso i ricordi narrati da Jonathan, e si posiziona per sempre lì dove deve stare, accanto alla macchia del quartiere d’origine, Rozzano, accanto alla macchia della malattia. Un’esistenza di macchie dolorose ed indelebili, affrontate ed esorcizzate attraverso una lucida descrizione di una lunga e sottile linea di rapporti familiari violenti.
«Tutti colpevoli, nessuna colpa».
2 pensieri riguardo “Questioni di potere: il sistema famiglia in “Febbre” di Jonathan Bazzi”