Quinto Orazio Flacco, “Odi” 1,11

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Quinto Orazio Flacco, “Odi” 1,11

Comincio questo nuovo articolo con una breve parentesi: mi dispiace non essere molto costante in questo periodo con la pubblicazione, ma sono sommersa di impegni e di tanti libri da studiare, quindi devo prima riuscire a trovare il giusto ritmo di questo nuovo e freschissimo Settembre. Non appena la mia testa avrà trovato quell’equilibrio sfumato nel caos più totale, riprenderò l’attività sul blog come è giusto che sia!

Detto ciò, dato che sto studiando proprio lingua e letteratura latina, oggi vi propongo un testo famosissimo, abusatissimo e a volte frainteso (anche in bene, per carità). Da molto tempo avevo il desiderio di riportarlo sul blog, dato il suo reale significato: sto parlando dell’Ode 11, dal I libro delle Odi di Orazio, il più che celebre testo del << carpe diem >>.
Il messaggio dell’autore è carico dello stesso significato di cui si fece portavoce Epicuro prima di lui (Gnomologio Vaticano 14): “Si nasce una volta sola, due volte non è concesso, in eterno non saremo più. Tu, pur non essendo padrone del tuo domani, rimandi la gioia: la vita così trascorre in questo indugiare e ciascuno di noi muore senza aver goduto della quiete“. Al di là delle varie interpretazioni, Epicuro e Orazio non porgono un semplice, banale invito al piacere: in loro è salda la consapevolezza della fugacità della vita e di ogni suo aspetto. Di conseguenza, l’invito è piuttosto quello di concentrarsi sui momenti felici già vissuti, “di fronte all’incalzare della morte o della sventura” (Conte), per godere di una tranquillità data dalla privazione dei tormenti umani.

11.

Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias, vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

(Dall’edizione BUR di Odi ed Epodi, con traduzione di Enzo Mandruzzato)

Traduzione
La giornata

Non domandare tu mai
quando si chiuderà la tua
vita, la mia vita,
non tentare gli oroscopi d’oriente:
male è sapere, Leucònoe.
Meglio accettare quello che verrà,
gli altri inverni che Giove donerà
o se è l’ultimo, questo
che stanca il mare etrusco
e gli scogli di pomice leggera.
Ma sii saggia: e filtra vino,
e recidi la speranza
lontana, perché breve è il nostro
cammino, e ora, mentre
si parla, il tempo
è già in fuga, come se ci odiasse!
così cogli
la giornata, non credere al domani.

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