1923-24: questi gli anni di composizione delle tre poesie di Eugenio Montale che vi propongo, piacevolmente, oggi. Tre “ossi” dalla famosa raccolta Ossi di seppia, che riflettono la “condizione di precarietà esistenziale e sospensione emotiva”, “l’adesione montaliana al simbolismo” nonchè una ispirazione leopardiana che tende alla “ricerca del dolore nell’orizzonte della natura apparentemente felice”.
Testi e citazioni tratti dalla edizione Oscar Moderni (Mondadori), a cura di Pietro Cataldi e Floriana d’Amely:
Mia vita, a te non chiedo…
Mia vita, a te non chiedo lineamenti
fissi, volti plausibili o possessi.
Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso
sapore han miele e assenzio.
Il cuore che ogni moto tiene a vile
raro è squassato da trasalimenti.
Così suona talvolta nel silenzio
della campagna un colpo di fucile.
Portami il girasole…
Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
Spesso il male di vivere…
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.