Siamo ormai a dicembre, il mese della gioia natalizia e della tensione costante per il nuovo anno. Abbiamo cominciato a valutare il nostro 2018 alla luce di tutto quello che ci eravamo ripromessi di fare e che puntualmente non abbiamo fatto – qualcosa ci sfugge sempre. Abbiamo cominciato a pensare ai propositi per l’anno nuovo che ci osserva sempre più da vicino con aria minacciosa, mentre ci sentiamo inseguiti da un tempo che scorre troppo velocemente – vi segnalo, proprio in merito a queste considerazioni, il progetto di scrittura riflessiva e sviluppo personale promosso da Lucia Savoia, @elle_growth, che vi guiderà verso una comprensione profonda e serena del vostro percorso, portandovi lontani dalle paure e dalle ansie inutili per imboccare la strada del confronto sereno con le vostre capacità e la vostra autostima.
Chiudiamo quest’anno in bellezza con un nuovo articolo della rubrica che si pone l’obiettivo di diffondere poesia il più possibile, e completiamo, in questo caso, un percorso che si era aperto con l’opera di Rimbaud: torniamo nella Francia del 1800, precisamente nella seconda metà del secolo, per conoscere un po’ meglio la figura di Paul Verlaine.
Oltre ad alcuni articoli di approfondimento, il libro che sta alla base di questo articolo è Romanze senza parole, in edizione Universale Economica Feltrinelli (2016) a cura di Cesare Viviani, al prezzo di copertina di €7,00. Cominciamo, però, con qualche informazione sulla biografia del poeta.

Paul Marie Verlaine nasce a Metz il 30 marzo 1844, in una famiglia della piccola borghesia con la quale trascorre un’infanzia piuttosto serena. Trasferitosi a Parigi all’età di sei anni, comincia a frequentare il collegio Institution Landry e si appassiona alla letteratura, leggendo molto e ottenendo il baccalaureato in lettere ed iscrivendosi, poi, alla facoltà di giurisprudenza: ma la abbandonerà dopo poco, in cerca di un lavoro. Viene assunto presso il municipio di Parigi, ma questo impiegno alimenta, giorno dopo giorno, un fortissimo sentimento di insoddisfazione che lo porterà ad abbandonarsi fra le braccia della poesia, dopo essere stato ancor di più stimolato dalla lettura di Baudelaire.
Frequenta i salotti letterari parigini e i parnassiani, e nel 1866 pubblica i Poèmes saturniens (Poemi saturnini), dopo essersi, inoltre, avvicinato al gruppo di Louis-Xavier de Ricard e alla sua rivista letteraria, filosofica e politica in cui riesce a pubblicare le prime poesie. Qualche anno dopo sposa Mathilde Mauté, dalla quale avrà il figlio Georges. Nel 1871 partecipa alla insurrezione della Comune di Parigi, perdendo, per questo, il posto di lavoro. La vita matrimoniale degli inizi procede con tranquillità; ma è proprio in questo momento di scompiglio generale che sorgono i primi problemi con la moglie, che si rifugia spesso nella casa dei genitori per sfuggire alla quotidianità turbolenta delle liti. In questo scenario travagliato, Arthur Rimbaud, allora diciassettenne, entra a far parte della vita di Verlaine.

È stato proprio il giovane Rimbaud a dare vita ad una ricca corrispondenza, che sfocerà nell’invito a Parigi, da parte di Verlaine, e nella loro tormentata vita di vagabondaggi e di amore. Paul Verlaine lascia la sua casa e la sua famiglia – non senza dissidi interiori e grandi rimorsi – per seguire Rimbaud in Belgio e in Inghilterra, e durante quei viaggi scriverà Romances sans paroles (Romanze senza parole). Triste e scandalosa, all’epoca, la fine della loro relazione: all’ennesimo scontro, Verlaine, ubriaco oltremisura, fa esplodere due colpi di pistola verso l’amante, ferendolo leggermente ad una mano. Per questa azione sconterà due anni di reclusione a Mons, mentre Rimbaud tornerà alla fattoria di famiglia a Roche.
Durante la sua reclusione, fra Mons e Bruxelles, Verlaine riceve la dolorosa notizia secondo la quale la moglie, Mathilde, ha chiesto e ottenuto la separazione. Trova un unico conforto nella ritrovata fede cattolica e scrive Sagesse (Sagezza), raccolta di poesie che testimonia la sua volontà di redenzione e che pubblicherà nel 1881. Torna in Inghilterra, quindi si trasferisce infine a Rethel, lavorando come insegnante e legandosi sentimentalmente al giovane Lucien Létinois, che morirà di tifo poco tempo dopo (Amour, 1888), causando un ennesimo periodo di sofferenza nella vita instabile del poeta.
Il saggio Les poètes maudits (I poeti maledetti), pubblicato nel 1884, dona una rinnovata fama al suo nome. Ma l’anno seguente è quello del divorzio ufficiale, che lo fa cadere sempre più nel vizio dell’alcol e nella instabilità emotiva: Paul Verlaine tenta di uccidere la madre e viene riportato in carcere, cadendo irrimediabilmente in miseria – le sue ultime produzioni letterarie gli procurano lo stretto necessario per sopravvivere, nulla di più.
Nel 1894 viene incoronato “principe dei poeti”; ma appena due anni dopo, l’8 gennaio 1896, si spegne, a soli cinquantadue anni, dopo aver contratto una polmonite, ulteriormente estenuato dall’alcol e dal tormento perpetuo.

E si può dire che la poesia non ha nulla a che vedere, in quanto a contenuti riconoscibili e descrivibili, con la biografia del poeta: i rapporti che la scrittura ha con la vita dell’autore sono misteriosi e illegibili, indecifrabili, e sono percepibili solo in quanto movimenti di un corpo – di un’esistenza – che si esprime.
Ho trovato molto interessante l’introduzione del bravissimo Cesare Viviani, che cerca di demonizzare ogni forma di estremismo nell’atto di interpretazione e comprensione profonda dell’opera in questione di Verlaine. Purtroppo, effettivamente, la sua produzione poetica e la sua esistenza tutta sono state fatalmente segnate e legate alla presenza di Rimbaud, determinando la nascita di corrispondenze che in realtà non ci sono e facendoci dimenticare della incredibile diversità delle opere dei due “poeti maledetti”. Quella di Verlaine è una poesia che cerca, soprattutto in questa silloge, una “armonia tra soggettività e alterità”, che gioca sui suoni e sulla musica, che genera suggestioni e indaga i significati aldilà delle apparenze, con una cupa tensione verso la conoscenza; nessuno spirito ribelle, a differenza degli scritti del giovane Rimbaud.

Il componimento che vi propongo oggi fa parte della prima sezione della raccolta, Ariettes oubliées (Ariette dimenticate), e si apre con una citazione dal celebre Cyrano de Bergerac:
L’usignolo che dall’alto di un ramo
vi si specchia, crede di essere caduto
nel fiume. È in cima a una quercia e
tuttavia ha paura di annegare.
L’ombra degli alberi nel fiume nebbioso
si dissolve come fumo
mentre nell’aria, tra i rami veri,
gemono le tortore.
Oh viaggiatore, come ti vide pallido
questo pallido paesaggio,
e come piangevano tristi nell’alto fogliame
le tue speranze annegate!
Maggio, giugno 1872
Rispondi