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Publio Ovidio Nasone, “Amores” 1,3

Gli Amores costituiscono la raccolta d’esordio di Publio Ovidio Nasone: cinque libri di elegie, che poi divennero tre forse nell’1 d.C., e così giunsero a noi; elegie costruite all’interno dei grandi temi della poesia elegiaca che Tibullo e Properzio avevano modellato. Eppure Ovidio rinnova alcuni temi, ne ingrandisce altri e li rende centrali e ben sviluppati; la donna ispiratrice, Corinna, “non ha i contorni netti di una protagonista, (…) anche il pathos che aveva caratterizzato le voci della grande poesia d’amore latina con Ovidio si stempera e si banalizza” (Gian Biagio Conte). L’esperienza della relazione amorosa viene filtrata attraverso una ironia e un distacco intellettuale tali da permettere ad Ovidio di partire dalla donna domina per poi staccarvisi e far diventare centrale l’esperienza dell’eros in sé: con Ovidio l’eros rappresenta il centro dell’esistenza stessa del poeta.

E oggi ho deciso di riportare una delle elegie fondamentali nel panorama degli Amores, la 1,3: il poeta rivolge quelle che ritiene siano “giuste preghiere” (iusta precor) affinchè queste determinino nella donna amata la nascita o l’accettazione di sentimenti d’amore che possano ricambiare i suoi. Ma tutto questo è impossibile, perché il poeta e la domina non si trovano in pari condizioni: secondo il servitium amoris infatti la donna è posta gerarchicamente al di sopra del poeta schiavo d’amore, ed è per questo che ella non potrà mai ricambiare i suoi sentimenti. Ecco che allora le parole di Ovidio tornano all’interno dei confini del servitium amoris, con la richiesta che Corinna si offra a lui come soggetto indiscusso della sua poesia, e che almeno si riconoscano al poeta i suoi due innegabili meriti: il servizio e la pura fides.

 

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Trasmissione manoscritta degli “Amores”

3

Iusta precor: quae me nuper praedata puella est
aut amet aut faciat cur ego semper amem.
A, nimium volui: tantum patiatur amari;
autieri nostras tot Cytherea preces.
Accipe, per longos tibi qui deserviat annos;
accipe, qui pura norit amare fide.
Si me non veterum commendant magna parentum
nomina, si nostri sanguinis auctor eques
nec meus innumeris renovatur campus aratris
temperate t sumptus parcus uterque parens,
at Phoebus comitesque novem vitisque repertor
hac faciunt et me qui tibi donat Amor
et nulli cessura fides, sine crimine mores
nudaque simplicitas purpureusque pudor.
Non mihi mille placent, non sum desultur amoris:
tu mihi, siqua fides, cura perennis eris;
tecum, quos dederint annos mihi fila sororum,
vivere continua teque dolente mori;
te mihi materiem felicem in carmina praebe:
provenient causa carmina digna sua.
Carmine nomen habent exterrita cornibus Io
et quam fluminea lusit adulter ave
qua eque super pontum simulato vecta iuvenco
virginea tenuit cornua vara manu.
Nos quoque per totum pariter cantabimur orbem
iunctaque semper erunt nomina nostra tuis.

. . .

Son giuste le mie preghiere: la ragazza che da poco mi ha fatto la sua preda mi ami, oppure faccia in modo che sempre l’ami io. Ahimè! Ho chiesto troppo: ella accetti almeno di essere amata; possa Citerea porgere ascolto a tante mie preghiere. Accogli chi è disposto a servirti per lunghi anni; accogli chi ti sappia amare con fedeltà sincera. Se non mi raccomandano nomi altisonanti di antichi avi, se il mio capostipite fu un cavaliere e i miei campi non sono rivoltati da innumerevoli aratri ed entrambi i miei genitori limitano le spese con parsimonia, avanzano però come miei alleati Febo e le sue nove compagne e l’inventore della vite e con essi Amore, che a te mi dona, e una fedeltà a nessuna seconda, costumi senza macchia e una franca schiettezza e un sentimento di vergogna che mi imporpora le guance. A me non piacciono mille donne, non sono uno che passa da un amore all’altro; se mi concederai fiducia, tu sola sarai l’eterno mio pensiero; possa io vivere con te gli anni che mi concederanno i fili delle Parche e possa io morire suscitando il tuo dolore; offriti come felice argomento dei miei carmi: ne sortiranno carmi degni del soggetto che li ha ispirati. Per mezzo della poesia hanno acquisito fama Io, atterrita al vedersi spuntare le corna, e colei che l’amante sedusse sotto forma di uccello fluviale e colei che, valicando il mare in groppa al finto torello, tenne strette con la sua mano di vergine le corna ricurve. Così anche noi saremo celebrati per tutta la terra ed il mio nome sarà sempre unito al tuo.



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Retroscena

Sono Anna Negri, classe ’98, dottoranda in Studi Umanistici a Palermo, ex libraia Mondadori, lettrice appassionata (soprattutto di poesia), aspirante scrittrice secondo il mio diario di terza media. Qui raccolgo attività, pareri, approfondimenti.

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