Oggi ho pensato di condividere con voi la voce di Ada Negri, una delle più importanti scrittrici italiane vissuta tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Nel 1895 veniva pubblicata la sua raccolta Tempeste, da cui ho scelto il componimento che segue:
I SACRIFICI
I
La maestra
È una maestra. – Ha ne lo sguardo buono
la rassegnata calma paziente
di chi sa il vuoto, il pianto ed il perdono.
Con lungo amore, faticosamente,
i figli d’altri a l’avvenir prepara;
insegna con austere voci e lente.
Ne la sua stanza fredda come bara
ove mai riscaldò fiamma d’ebbrezza
la sconosciuta povertade amara,
ove non fulse mai la giovinezza
d’un lieto sogno, morrà un giorno, sola,
composta il volto a stanza tenerezza;
e su l’algide labbra di viola
e nel vago stupor degli occhi spenti
morrà con essa la ultima parola
del suo delirio: <<O bimbi, o bimbi…attenti …>>.
II
La madre
Vedova, lavorò senza riposo
per la bambina sua, per quel suo bene
unico, da lo sguardo luminoso;
per essa sopportò tutte le pene,
per darle il pan si logorò la vita,
per darle il sangue si vuotò le vene. –
La bimba crebbe, come una fiorita
di rose a maggio, come una sultana,
da la materna idolatria blandita;
e così piacque a un uom quella sovrana
beltà, che al suo desio la volle avvinta,
e sposa e amante la portò lontana!…
… Batte or la pioggia dal rovaio spinta
ai vetri de la stanza solitaria
ove la madre sta, tacita, vinta:
schiude essa i labbri, quasi in cerca d’aria;
ma pensa: <<La diletta ora è felice…>>.
E, bianca al par di statua funeraria,
quella sparita forma benedice.
III
La fidanzata
Egli le disse: <<I monti e l’oceàno
frapporre io devo fra il tuo bacio e il mio;
oh, pensami, mentr’io sarò lontano.
Oh attendimi!… Giammai sonno d’oblio
col tempo graverà sul nostro amore:
serberà la distanza alto desio>>.
… Ed ella attese. – Ed i minuti e l’ore
e i mesi e gli anni, i lunghi anni glaciali,
passaron senza un raggio e senza un fiore
su quei densi capelli verginali;
e quando cadder dal suo volto smorto
le primavere e dal suo passo l’ali,
e una ruga ghignò sovra quel morto
fascino (lenta pioggia il marmo scava),
ei riapparve alfin, come risorto.
Ma non confuser l’infocata lava
de’ baci; non l’ebbrezze desiate:
ella il padrone, egli guardò la schiava,
per ritrovar le forme un giorno amate,
per ritrovarle… – e poi stettero, fisso
lo sguardo al suolo, querce fulminate;
e fra di lor si risquarciò l’abisso.
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